Nessuno deve rimanere escluso: la storia di Elena | NTT DATA

mar, 28 marzo 2023

Nessuno deve rimanere escluso: la storia di Elena

Per creare una società in cui le discriminazioni sono un lontano ricordo, la cosa più importante è rompere il silenzio e impegnarsi in modo concreto per mettere in moto il cambiamento.

“Non sono un robot”: lo scoglio dell’accessibilità

Oggi racconta la sua storia Elena Brescacin, Inclusive Designer & Analist di Tangity, design studio di NTT DATA

Essere non vedente mi ha fatto provare sulla mia pelle quanto gli strumenti, le tecnologie e gli spazi che utilizziamo ogni giorno siano progettati da prospettive che tendono a escludere alcune categorie di persone ed è stata proprio questa la molla che mi ha fatto appassionare al tema dell’accessibilità. Per i non addetti ai lavori, in ambito digitale una piattaforma o un servizio è accessibile quando può essere usato con facilità da qualunque tipologia di utente, ad esempio persone con disabilità, o anziani. Mi ricordo quando, da appassionata di informatica, all’inizio degli anni ‘90 ho iniziato ad avvicinarmi al mondo del web e mi trovavo sempre a scontrarmi con i classici quiz basati su immegini (“captcha”) che recitavano la frase “Sei un robot?”.

Ovviamente no, non sono un robot, ma per me quei test erano impossibili da portare a termine ed era frustrante trovarsi di fronte un ostacolo, solo perché nessuno aveva mai pensato che chiedere di trascrivere dei caratteri mostrati in un’immagine non sia una soluzione idonea, perché oltre a escludere i software fraudolenti taglia fuori anche alcuni gruppi di esseri umani.

Così ho iniziato a informarmi e studiare finché la mia passione, unita alla mia esperienza personale, sono diventate il mio lavoro. Quando sono arrivata in NTT DATA nel 2002 ho iniziato a occuparmi di accessibilità e a testare servizi e tecnologie in modo che fossero alla portata di chiunque.
Rispetto a quando ho iniziato sicuramente si parla di più di accessibilità, ma non siamo ancora arrivati a creare una vera e propria cultura diffusa su questi temi. Oggi i giovani che si avvicinano al mondo del design e dello sviluppo iniziano a studiare l’accessibilità, ma fino a poco tempo fa c’era poca formazione a riguardo. A volte l’accessibilità viene percepita come un “qualcosa in più”, mentre in realtà è parte essenziale di ogni progetto digitale e va integrata fin dall’inizio. Sicuramente la strada da fare è ancora tanta: dall’aggiornamento delle normative, alla semplificazione delle linee guida in materia, in modo che non resti un concetto accademico, ma che porti davvero dei miglioramenti nella vita delle persone, specialmente adesso che, con il remote working, il digitale fa ancora più parte delle nostre vite. Insomma, perché tutti siano inclusi una delle sfide più importanti da affrontare è rendere accessibile l’accessibilità stessa.

Online puoi essere chiunque, tranne te stessa

Attraverso l’informatica mi sono appassionata anche al mondo della scrittura, soprattutto quando grazie al web e ai social è diventata una possibilità di confrontarsi e comunicare con gli altri. Online, però, si incontrano anche tanti pregiudizi: da chi pensava che inventassi di essere non vedente per attirare l’attenzione o avere un trattamento diverso, a chi non mi prendeva sul serio in campo informatico perché ero donna. Anche se l’informatica mi appassionava, il cyberbullismo mi rendeva pesante continuare a informarmi e apprendere attraverso internet. Così, per affrontarlo, ho creato un alter ego per le mie interazioni online, trasformandomi in un informatico uomo. Improvvisamente venivo trattata in modo diverso, migliore, solo perché avevo eliminato dal mio profilo due caratteristiche che fanno parte di chi sono. Poi con il tempo questa cosa ha iniziato a sfuggirmi di mano, perché mi sono accorta che utilizzavo molto di più quel profilo finto, con cui mi sentivo più libera di commentare e interagire online, del mio personale. 

Con il tempo ho capito che non era il modo giusto di affrontare la cosa, perché quando si subisce una discriminazione di qualunque tipo è proprio il silenzio che alimenta lo stigma: da allora cerco di condividere la mia esperienza proprio per contribuire a combattere i comportamenti discriminatori.

Rovesciare il mondo, in positivo

Nel tempo libero porto avanti un progetto contro la discriminazione al quale tengo molto, attraverso cui coltivo la mia passione per la scrittura e che è stato ispirato da uno dei miei idoli musicali, Freddie Mercury. Quando avevo circa 13 anni ero rimasta molto colpita dalla sua storia personale e dalla sua malattia, così ho iniziato a interessarmi al discorso sulla prevenzione dell'HIV, su cui al tempo circolavano tante informazioni sbagliate che portavano all’esclusione delle persone sieropositive da molti contesti.

Poi, in un certo senso, ho vissuto questo tipo di stigma anche sulla mia pelle: per qualche tempo ho avuto una storia d’amore con un ragazzo sieropositivo e per questo motivo mi è capitato più volte di essere discriminata, proprio a causa della paura e del pregiudizio generati dalla disinformazione diffusa su questo tema.

Così, ho deciso di fare qualcosa di concreto, avviando insieme ad un mio amico anche lui che vive con HIV, il progetto di scrittura “PlusBrothers Il Mondo Positivo”, in cui raccontiamo le storie di un mondo al rovescio – sierocapovolto -, dove a essere stigmatizzate non sono le persone positive all’HIV, ma tutte quelle che non ce l’hanno: “i negativi”. Attraverso i nostri personaggi proviamo non solo a ribaltare il punto di vista rispedendo lo stigma al mittente, ma anche a dare informazioni corrette sul mondo dell’HIV, su cui i pregiudizi sono ancora molti. Anche se non ci siamo mai preoccupati di visualizzazioni e like, attorno al progetto si è radunata una piccola comunità di lettori, che capisce il nostro intento e il nostro modo di raccontare: “virali, senza essere influencer”.
Con la pandemia ci siamo interrogati se fosse opportuno continuare, perché alcuni dei temi affrontati potevano risultare più sensibili, come quello della distanza fisica tra le persone. Poi ci siamo detti che tra smettere e continuare volevamo “trasmettere” e continuare a parlare come avevamo fatto fino a quel momento. Quando si affronta il tema delle discriminazioni e dei pregiudizi, ritengo che sia importante metterci la faccia, anche se non è sempre facile e bisogna avere intorno un contesto aperto a questo tipo di dialogo. Con la mia esperienza, però, ho imparato che i pregiudizi si combattono impegnandosi in prima persona e possono essere smontati solo con azioni concrete. 


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