A cura di Nazario Martino, Client Manager Energy & Utilities
I recenti eventi climatici e i loro disastrosi impatti stanno finalmente sensibilizzando in tutto il pianeta l’opinione pubblica e i governi circa gli effetti devastanti indotti dalla CO2 che si è accumulata e continua a essere emessa nell’atmosfera. Le istituzioni, le quali in passato avevano solo iniziato a riconoscere e affrontare il problema del cambiamento climatico con interventi rivelatisi insufficienti, stanno predisponendo nuovi strumenti regolatori per affrontare alla radice le cause del problema e prefissando in modo sempre più forte gli obiettivi di sostenibilità ambientale e le conseguenti normative. Sebbene indispensabili, regole e normative non sarebbero tuttavia sufficienti da sole a ricondurre in equilibrio il nostro ecosistema: è anche grazie alle ulteriori leve dell’innovazione tecnologica che sarà possibile sfruttare ai fini della decarbonizzazione nuovi strumenti che ci possano far guardare al futuro con ottimismo.
Climate Change: lo spartiacque 2020
Siccità estreme seguite da alluvioni devastanti, ghiacciai in scioglimento, acidificazione degli oceani, vastissimi incendi, innalzamento dei mari. E gli ulteriori impatti a catena su scorte di cibo, scarsità d’acqua, migrazioni, estinzione di specie animali e vegetali, e così via. È il Climate Change, ed è già qui. Se sinora persisteva un negazionismo climatico alimentato anche da interessi economico-finanziari e politici, che si ostinava a etichettare il Climate Change come un rischio “infondato e paventato da pessimistici scienziati”, oggi è riconosciuto anche dalle potenze industriali per quel che inopinabilmente è: non più un possibile rischio, bensì una criticità già in atto, i cui impatti si susseguono sotto i nostri occhi in una spirale continua di eventi catastrofici su scala globale. Anche l’individualistico paradigma “forse arriverà, ma comunque quando io non ci sarò più” non ha più senso: gli effetti del surriscaldamento globale sono già in atto, e il costante aumento termico indotto dalla CO2 nell’atmosfera induce eventi sempre più estremi.
La NASA riferisce che il 2020, insieme al 2016, è stato l’anno più caldo di sempre, che i 10 anni più caldi si sono verificati a partire dal 2005, e i primi sette a partire dal 2014. Il 2020 ha inoltre battuto i record degli impatti economici – in miliardi di dollari USA – dovuti a eventi indotti dal Climate Change.
Le emissioni di anidride carbonica crescono da decenni. Eppure, proprio nel corso del caldissimo 2020 l’effetto globale delle quarantene pandemiche ha indotto un segnale nuovo: le emissioni si sono ridotte del 6,4%, il più consistente calo mai registrato (con le successive revoche dei lockdown, le emissioni sono tornate a crescere). È la riprova che azioni collettive – se implementate con urgenza e su scala globale – possono indurre sostanziali e positivi cambiamenti. Di qui nasce l’esigenza di stimolare la ripresa dalla pandemia Covid19 senza combustibili fossili, ovvero tesa alla decarbonizzazione. In tal senso, il 2020 è un potenziale spartiacque. Ma bisogna fare presto. Gli eventi estremi si stanno infatti moltiplicando di giorno in giorno.
L’accelerazione degli eventi estremi nel 2021
La situazione climatica sta rapidamente degenerando. In tal senso, guardiamo cosa è avvenuto nel corso del solo mese di luglio 2021.
- Canada: una eccezionale ondata di calore a 50 °C investe il quadrante nord-ovest del continente americano, compresi alcuni stati USA quali l’Oregon. È una heat dome – letteralmente “cupola di calore”, che si verifica quando l’atmosfera intrappola come un tappo l’aria calda dell’oceano. Solo in Canada si riportano oltre 750 decessi, centinaia di incendi, cittadine evacuate e cancellate dal fuoco, centinaia di migliaia di ettari di foreste bruciati con rapidità senza precedenti, devastazione della fauna, inclusa quella marina lungo la costa. Il record in Canada era di 45 °C e risaliva al 1937.
- Yakutia, regione più fredda della Russia (fino a -50/70 °C in inverno): la combinazione di temperature anomale e prolungata siccità ha scatenato una profusione di incendi che hanno raso al suolo oltre 2,5 milioni ettari di foreste e tundra, rilasciando nell’aria enormi quantità di diossido di carbonio, con i 320mila abitanti di Yakutsk chiusi in casa per proteggersi dalla nube tossica. Roghi talmente potenti che colonne di fumo hanno viaggiato fino all’Alaska trasportate dai forti venti. Il mese è stato il più caldo e secco da 133 anni.
- Germania e Belgio: a metà luglio sono caduti 15 centimetri di pioggia nell’arco di 24 ore. In Germania si sono contati circa 200 decessi dovuti all’alluvione, 31 in Belgio. La città tedesca di Adenau, al confine con il Belgio è stata quella più colpita finora dalle devastazioni. Ulteriori inondazioni hanno colpito anche la Baviera.
- Cina, provincia di Henan: l’alluvione più grave degli ultimi 60 anni, indotta dalla più pesante precipitazione degli ultimi 1000 anni nella zona, appunto ribattezzata la “tempesta del millennio”. In poco più di 24 ore oltre 641 mm di pioggia, il totale delle precipitazioni nell’intero anno. Finita in poco tempo sott’acqua e devastata la città di Zhengzhou, accanto al Fiume Giallo, con oltre 12 milioni di abitanti (nota per ospitare gli stabilimenti Foxconn). Oltre 33 decessi – di cui 12 nei treni e sulle piattaforme della metropolitana, trasformatasi in una trappola mortale per centinaia di passeggeri bloccati con l’acqua in continua salita. Oltre 300mila persone costrette a lasciare le proprie case nell’intera provincia, ove l’alluvione ha danneggiato circa 20.000 ettari di colture.
Avvenimenti come questi non potranno che impattare fortemente le posizioni nazionali e le politiche locali e globali (in tal senso, gli USA sono già tornati ad aderire al pregresso Accordo di Parigi che Trump aveva abbandonato, la Germania sta indirizzando esplicitamente le politiche del Green Deal della UE.). È evidente la necessità di cambiamenti e di accelerazione nel prendere decisioni e renderle esecutive: c’è da augurarsi che la prossima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (COP26) – in svolgimento a Glasgow a novembre 2021 – possa indurre progressi concreti per la riduzione delle emissioni, che ad oggi su scala globale non si sta verificando affatto.
Decarbonizzazione, come attuarla e con quali leve di intervento
La decarbonizzazione consiste nell’effetto combinato di tutte le leve utili al raggiungimento della neutralità carbonica (emissioni zero), ovvero al raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio. Questo implica due macro-obiettivi:
1) massimizzare l’assorbimento della CO2 accumulatasi nell’atmosfera
2) minimizzare le emissioni nette addizionali.
In sintesi, l’emissione dei gas a effetto serra deve essere controbilanciata dall’assorbimento delle emissioni di carbonio. Viene definito pozzo di assorbimento un sistema in grado di assorbire maggiori quantità di carbonio rispetto a quelle che emette. I principali pozzi di assorbimento naturali sono rappresentati dal suolo, dalle foreste, e dagli oceani. Purtroppo, già nel 2019 le emissioni globali di CO2 hanno superato di oltre tre volte (38 miliardi di tonnellate) la capacità totale di assorbimento dei pozzi naturali. Ad oggi, nessun pozzo di assorbimento artificiale è in grado di rimuovere la necessaria quantità di carbonio dall’atmosfera necessaria a combattere il riscaldamento globale. Inoltre, il carbonio conservato nei pozzi naturali come le foreste è ulteriormente rilasciato nell’atmosfera a causa di incendi, disboscamenti, cambiamenti nell’uso del terreno. Sul fronte dell’assorbimento, sono attuabili al momento le leve di prevenzione e salvaguardia dei pozzi naturali, unitamente a quelle di riforestazione (es. la UE si propone attualmente di piantare 3 miliardi di alberi entro il 2030). È inoltre da perseguirsi lo sviluppo – sull’esempio di ENI – di tecnologie mirate all’assorbimento artificiale – quali la CCS (Carbon Capture and Storage) e la CCU (Carbon Capture and Utilization). Ma oramai le sole leve di assorbimento non sarebbero comunque sufficienti, a fronte del trend attuali.
Per questo motivo ai fini della neutralità carbonica (o decarbonizzazione) è fondamentale l’ulteriore fronte di riduzione delle emissioni. I pilastri “sine qua non” per concretizzare la riduzione di CO2 includono la regolamentazione (sia su scala globale che locale), l’innovazione tecnologica, i comportamenti collettivi e individuali e la consapevolezza ambientale. È peraltro evidente l’interconnessione che sussiste tra i pilastri stessi.
Decarbonizzazione, il ruolo della regolamentazione UE
La UE è il terzo produttore al mondo di anidride carbonica, ma ha comunque un obiettivo ambizioso per contribuire alla lotta al Climate Change: ridurre in modo sostanziale le emissioni entro il 2030 fino a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2050. Per riuscire a contenere il riscaldamento globale entro la soglia massima di 1,5° – reputata indispensabile dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change) – raggiungere il traguardo emissioni zero entro il 2050 è essenziale. Tale obiettivo è previsto anche dall’Accordo di Parigi – il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici – adottato alla conferenza sul clima (COP21) a dicembre 2015, con la firma di 195 paesi, inclusi tutti quelli della UE, ove è entrato in vigore con ratifica a ottobre 2016. In prima linea negli sforzi internazionali per la lotta al Climate Change, la UE è stata determinante per l’intermediazione dell’accordo di Parigi e continua a mostrare un ruolo guida a livello mondiale.
Il sistema di scambio delle emissioni ETS (Emission Trading System), lanciato nel 2005, è una pietra angolare e uno dei primi strumenti messo in opera dalla UE per contrastare le emissioni e per la decarbonizzazione. Interessando circa il 40% delle emissioni di gas a effetto serra della UE, è il primo e più esteso mercato mondiale della CO2, e si basa su un semplice concetto: “chi inquina paga”; obbliga infatti oltre 11.000 centrali elettriche, industrie manifatturiere e aerolinee a richiedere un permesso per ogni tonnellata di CO2 emessa, come incentivo a inquinare meno. Le industrie devono comprare questi “crediti di carbonio” (allowances) attraverso aste ove il prezzo segue le regole della domanda e dell’offerta, e successivamente possono liberare tanta CO2 quanti sono i crediti vantati. Chi emette di più, deve comprarne altri sul mercato: il sistema opera infatti secondo il principio della limitazione e dello scambio delle emissioni. Viene fissato un tetto alla quantità totale dei gas serra che possono essere emessi dagli impianti inclusi a perimetro del sistema ETS; questo tetto si riduce nel tempo, in modo che le emissioni diminuiscano. Entro questo limite, gli impianti acquistano o ricevono (alcune quote sono date gratuitamente, per evitare che – in alcuni settori a rischio – le industrie si trasferiscano in regioni con meno restrizioni ambientali) quote di emissione che, se necessario, possono scambiare.
La limitazione del numero totale garantisce che le quote disponibili abbiano un valore. A fine anno gli impianti devono restituire un numero di quote sufficiente a coprire per intero le proprie emissioni, pena pesanti sanzioni. Se un impianto riduce le proprie emissioni, può mantenere le quote inutilizzate per coprire il fabbisogno futuro, oppure venderle a un altro impianto che ne sia a corto. Lo scambio crea flessibilità e garantisce che le riduzioni delle emissioni avvengano quando sono più convenienti, e inoltre un solido prezzo delle emissioni favorisce gli investimenti in tecnologie innovative a basso rilascio di CO2. ETS si è dimostrato uno strumento efficace per ridurre le emissioni in modo efficiente sotto il profilo dei costi. Gli impianti rientranti nel sistema ETS hanno ridotto le emissioni di circa il 35% tra il 2005 e il 2019.
Sulla scia delle prime iniziative (tra le quali l’introduzione del sistema ETS), a dicembre 2019 la Commissione Europea ha presentato il Green Deal Europeo, un piano strategico per l’adozione di articolate misure di diversa natura, da attuare tramite leggi, decreti e investimenti, al fine di contrastare il surriscaldamento globale ed il cambiamento climatico. La gestione del Green Deal è deputata alla Commissione Europea in veste di organo esecutivo, e a Parlamento Europeo e Consiglio Europeo nel ruolo di organi legislativi. Gli obiettivi del Green Deal UE sono propedeutici – in termini di step intermedi 2030 e 2040 – rispetto alla neutralità carbonica al 2050 prefissata sin dalla COP21. I principali includono in particolare:
- Energia pulita ed ecosostenibile: con particolare ma non esclusivo riferimento alla produzione di energia elettrica, che da sola induce infatti oltre il 75% delle emissioni; ciò implica investimenti massivi non solo sulla generazione di energie rinnovabili (da fonti eoliche, fotovoltaiche, idroelettriche), ma anche mirati a renderle fruibili in termini di gestione reti, distribuzione e consumo, garantendone, affidabilità sicurezza e sostenibilità.
- “Green Mobility”: con riferimento alla mobilità, una logica conseguenza riguarda la transizione dal consumo dei combustibili fossili (carbone, petrolio e derivati – inclusi GPL e Metano) verso un utilizzo prevalente di energia elettrica.
- Sostenibilità delle attività umane: attività quali i trasporti e il commercio causano la dispersione di enormi volumi di CO2; in tal senso il Green Deal promuove azioni tese a rendere sostenibili una vasta serie di attività umane eccessivamente inquinanti, tramite nuove regole mirate alle attività edilizie, gli spostamenti, la ristrutturazione abitativa e industriale, nonché alla protezione delle aree verdi, all’attuazione delle logiche di economia circolare, e così via.
A luglio 2021 la Commissione UE ha presentato il nuovo pacchetto di proposte legislative “Delivering the EU Green Deal”, che in base alla situazione e trend attuali prefissa nuovi obiettivi intermedi al 2030, perseguendo il taglio delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro la fine del decennio in corso.
Il pacchetto – chiamato anche “Fit for 55” – è mirato ad accelerare gli interventi per il perseguimento della neutralità carbonica, compresa la revisione e l’ampliamento del perimetro di applicazione del sistema ETS, che andrebbe a includere ad esempio anche trasporti, comparto marittimo, riscaldamento degli edifici.
Adeguando il sistema ETS ai nuovi target, la proposta legislativa fissa l’obiettivo generale del nuovo ETS UE a -61% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005, con un aumento di 18 punti percentuali rispetto al target pregresso; la conseguente riduzione di emissioni anno su anno crescerebbe quindi da 2,2% a 4,2%
Al di là della revisione del sistema ETS, il perimetro di intervento del “Fit for 55” è ben più ampio e articolato; il relativo dettaglio è accessibile ai links:
- https://ec.europa.eu/info/publications/delivering-european-green-deal_it
- https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal/delivering-european-green-deal_it
Il ruolo dell’innovazione tecnologica nella decarbonizzazione
La maggior parte delle emissioni globali di CO2 proviene dal settore energetico, il che implica la urgente necessità di un sistema energetico più pulito. Nonostante sia evidente come la tecnologia sia un pilastro necessario per risolvere la crisi climatica, la transizione energetica tesa alla neutralità carbonica richiede più di quanto le tecnologie “mature” e già disponibili possano offrire. Di conseguenza entra in gioco il ruolo della ulteriore innovazione tecnologica e quindi la strategicità della sua accelerazione e dei relativi investimenti necessari. Senza una forte accelerazione dell’innovazione tecnologica nella “energia pulita”, gli obiettivi di neutralità carbonica non saranno raggiungibili. Il dettagliato rapporto “Energy Technology Perspectives 2020 – Special Report on Clean Energy Innovation” della International Energy Agency (IEA) valuta le modalità con le quali l’innovazione tecnologica mirata all’energia pulita possa essere significativamente accelerata ai fini del raggiungimento delle zero emissioni nette. Nonostante il numero crescente di impegni da parte di governi e aziende per azzerare in prospettiva le emissioni nette di CO2, vi è una disconnessione tra tali impegni di alto profilo e l’attuale stato delle tecnologie effettivamente fruibili. Sebbene le tecnologie oggi disponibili – ad esempio quelle alla base dell’efficienza energetica e della generazione da fonti rinnovabili – possano consentire gran parte delle riduzioni CO2 richieste dagli obiettivi climatici, da sole non sono sufficienti per raggiungere la neutralità carbonica, e garantire al contempo l’affidabilità e stabilità dei sistemi energetici.
Sarà necessario anche l’adozione di ulteriori tecnologie: infatti gran parte delle emissioni provengono da settori in cui le opzioni tecnologiche per una “trasformazione verde” sono limitate (ad esempio: industria pesante, trasporti a lunga percorrenza), e la decarbonizzazione di questi settori richiederà lo sviluppo di nuove tecnologie non ancora in uso. In sintesi, vi sono almeno due motivi per i quali l’innovazione tecnologica nell’ambito delle energie pulite è essenziale per il raggiungimento degli obiettivi climatici:
1. la decarbonizzazione di svariati settori richiede tecnologie oggi non ancora disponibili sul mercato, e che è quindi necessario innovare per portarle allo stadio di sviluppo e maturità necessario per un loro concreto utilizzo su larga scala.
2. l’innovazione tecnologica induce un miglioramento continuo in termini di efficienza, riduzione costi ed efficacia, e tale incremento delle performance è necessario per rendere competitive ed estendere l’adozione delle tecnologie energetiche a basse emissioni già commercializzate e fruibili, ma non ancora del tutto diffuse.
La riduzione delle emissioni registratasi nel 2020 è una conseguenza temporanea della pandemia Covid19, ma non è affatto il risultato delle modalità con le quali produciamo e consumiamo energia. Con la ripresa post pandemica, è quindi fondamentale che la riduzione delle emissioni venga indirizzata su un percorso strutturale – e supportato da investimenti mirati – a sostenere la diffusione di tecnologie innovative ancora in fase di sviluppo iniziale, in grado di impattare il settore energetico. Questo è il punto cruciale su cui i pilastri di regolamentazione e innovazione tecnologica devono operare all’unisono per sostenere la decarbonizzazione. Qualsiasi percorso verso gli obiettivi di neutralità carbonica non sarebbe credibile, senza una concreta e veloce penetrazione di nuove tecnologie fruibili per la “trasformazione verde” del settore energetico.
Per conseguire gli obiettivi fissati dal Green Deal UE, la Commissione si è impegnata a mobilitare almeno 1.000 miliardi di euro per investimenti sostenibili nel prossimo decennio. E in particolare sono destinati agli investimenti del Green Deal il 30% del bilancio pluriennale UE 2021-2028, (la più alta percentuale di sempre sul bilancio UE) più quota parte del Piano Next Generation EU (NGEU) per la ripresa dalla pandemia. I paesi UE devono destinare almeno il 37% dei finanziamenti NGEU ricevuti a investimenti e riforme che sostengano gli obiettivi ambientali UE. La Commissione intende raccogliere il 30% dei fondi NGEU tramite l’emissione di obbligazioni verdi. E non è tutto: oltre a quanto destinato alla “transizione verde”, il NGEU esprime ulteriori risorse dedicate a digitalizzazione e innovazione. In sintesi, è evidente come la risultante di Green Deal e NGEU insieme possa costituire una vera e propria “ancora di salvezza”.
E in particolare, di come tale risultante sia tesa alla regolamentazione e al finanziamento di investimenti e modalità per sviluppare al contempo le necessarie leve sia di decarbonizzazione che di innovazione tecnologica, unitamente alle ulteriori dimensioni abilitanti la sostenibilità e la ripresa. Guardando ad esempio alla declinazione NGEU in Italia, le prime tre delle sei “Missioni” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) risultano di diretto impatto sia sulla decarbonizzazione, sia sullo sviluppo di tecnologie innovative, tra le quali ovviamente quelle abilitanti la decarbonizzazione stessa e quindi la trasformazione del settore energetico, visto il suo impatto sulle emissioni CO2.
Conclusioni
In conclusione, abbiamo visto come le nostre possibilità di perseguire concretamente la decarbonizzazione possano concretizzarsi solo grazie a mirate leve di regolamentazione e innovazione tecnologica. Il perimetro delle tecnologie fruibili nel contesto è assai vasto; di conseguenza, in un successivo articolo approfondiremo nello specifico come l’intelligenza artificiale possa contribuire alla decarbonizzazione innovando ed ottimizzando le singole componenti lungo la filiera dell’energia elettrica.
L'articolo è uscito originariamente su Energy Up il 24 agosto 2021